Diritto all’oblio: nel gennaio del 2023 la Corte di Cassazione ha stabilito che nell’archivio dei quotidiani online, possono rimanere gli articoli su fatti di cronaca su arresti e casi giudiziari dalle alterne vicende e datati, ma che, su richiesta delle persone direttamente coinvolte in indagini, deve essere aggiunta una postilla, per dare conto dell’esito finale e passato in giudicato del fatto portato all’attenzione del pubblico.
La notizia, relativa a una vicenda avvenuta in Campania, ha riacceso i riflettori su una tematica molto attuale, che riguarda molto da vicino e in un modo significativo l’attività delle redazioni online.
Tra diritto all’oblio, GDPR, deindicizzazione Google e reputazione online, gli argomenti sono numerosi e tutti meritevoli di attenzione. Partendo proprio da questa decisione della Cassazione, approfondiamo dunque cosa è il diritto all’oblio, come funziona nell’era di internet, cosa è avvenuto in Italia fino a oggi e cosa si deve fare per richiedere la rimozione dei risultati di ricerca su Google.
Che cos’è il diritto all’oblio
Il diritto all’olio si configura come il diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata: si pratica, dunque, con la richiesta di rimozione delle informazioni personali. Nella grande famiglia dei diritti alla privacy è sicuramente il più giovane e si muove nell’ambito della società digitale. Volendo andare un po’ più indietro nel tempo, il “diritto ad essere dimenticati” affonda le radici nello stesso concetto di privacy.
La nascita del diritto all’oblio, in tal senso, può coincidere con quella del diritto alla privacy e alla riservatezza, nella stessa accezione pensata da Warren e Brandeis nel 1890. Da allora, ne è passato di tempo e, soprattutto, oggi questo diritto va compreso in relazione all’avvento di internet e delle attività dei giornali online. Il significato è diventato più dirompente: tra testate sul web e social network, avviene uno scambio continuo di contenuti. Non si tratta, dunque, soltanto di impedire che determinate informazioni rimangano disponibili, ma anche di evitare successive ripubblicazioni.
Oggi, dunque, è importante non solo la cancellazione di una notizia e dei relativi contenuti multimediali, ma anche le successive ripubblicazioni.
Da un punto di vista normativo, il diritto all’oblio è regolato dall’art. 17 del GDPR (Regolamento UE n. 679/2016 sulla protezione dei dati personali): il documento include criteri generali e di eccezioni. Vi sono elencati, ad esempio, una serie di motivi in presenza dei quali si ha il diritto a ottenere la cancellazione dei dati personali, senza ingiustificato ritardo (il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellarli senza giustificato ritardo).
L’articolo 17 è molto complesso e può non essere sempre di facile comprensione: al di là dei principi generali, infatti, rimane il problema di stabilire quando il trattamento dei dati personali è “necessario” per esercitare il diritto di informazione e la libertà di espressione. Importante, inoltre, stabilire quando si parla di pubblico interesse, ricerca scientifica o storica.
L’ultima parola spetta sempre all’autorità – che può essere il Garante alla privacy o il giudice – che dovrà a decidere se in una determinata vicenda si può pretendere che una notizia, pur legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di nuova divulgazione.
Secondo le Linee Guida 5/2019 del Comitato Europeo per la Protezione dei Dati, sui criteri per l’esercizio del diritto all’oblio nel caso dei motori di ricerca, ai sensi del GDPR (adottate nel luglio del 2020), “un interessato può richiedere al fornitore di un motore di ricerca di cancellare uno o più link verso pagine web dall’elenco di risultati che appare dopo una ricerca effettuata a partire dal suo nome”.
Il diritto all’oblio nell’era di internet
Attraverso il diritto all’oblio, la persona interessata può dunque richiedere la cancellazione di quei dati personali che la riguardano, non più giustificati dalle finalità per le quali sono stati raccolti. Questo si traduce, ad esempio, nella rimozione di notizie di cronaca relative a condanne o altri avvenimenti che possano nuocere a una reputazione, qualora non sia legittimata dal diritto di cronaca.
Trovare un punto di incontro tra diritto e internet, può non essere facile. I lettori vengono informati di una notizia, ma con il passare del tempo, quella notizia può non ricoprire la stessa rilevanza. Tutto questo si muove nell’ambito del web, che corre veloce e si nutre di aggiornamenti continui e, tendenzialmente, senza vincoli. Così il diritto all’oblio si adatta di continuo alla società, alle sue esigenze e, naturalmente, alla fruizione delle notizie.
La Rete ha una memoria infinita: se, ricercando un argomento, si può continuare ad avere accesso ad informazioni “vecchie“, cosa bisogna fare nel momento in cui quelle informazioni ledono una reputazione o non sono più legittimamente diffuse? L’argomento rientra anche nell’ambito del diritto alla tutela della vita privata, previsto dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Secondo la Corte Europea, si può richiedere che una determinata informazione venga rimossa da Internet. Sempre stando al diritto all’oblio, non si possono distribuire informazioni pregiudizievoli dell’onore di una persona, se questo non è giustificato da fatti di cronaca, anch’essi in relazione a importanza e recentezza degli eventi.
A regolare questo diritto “ad essere dimenticati“, interviene 17 del GDPR: l’interessato può richiedere la cancellazione delle informazioni senza ingiustificato ritardo, nel caso in cui i dati personali non siano più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati, o quando sia stato revocato il consenso al trattamento.
Questo diritto può trovare un limite di applicazione qualora il trattamento delle informazioni sia necessario per diritto alla libertà di espressione e di informazione o necessità di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica.
In merito al diritto all’oblio su internet, si può citare il caso concreto, portato innanzi alla Corte di Giustizia Europea nel 2014, che ha visto protagonista Google Spain: si tratta della Causa C-131/12, Google Spain SL, Google Inc. c. Agencia Española de Protección de Datos (AEPD), Mario Costeja González, 13 maggio 2014 (Grande Sezione)].
La Corte di Giustizia Europea in questa occasione, ha sancito il cosiddetto diritto alla de-indicizzazione dai motori di ricerca Google degli url dannosi per la reputazione del ricorrente. Nello specifico, ogni volta che un utente digitava su Google il nome di Costeja Gonzalez, otteneva link verso pagine di un quotidiano locale, del 1998, delle quali non esisteva più alcun collegamento con il presente. È importante però sottolineare che la stessa sentenza negava la cancellazione delle notizie, lecitamente pubblicate dal quotidiano locale.
Diritto all’oblio e privacy
Prima di procedere oltre, facciamo un piccolo passo indietro e approfondiamo di più il rapporto tra diritto all’oblio e privacy. Il diritto all’oblio, come abbiamo già anticipato, è storicamente legato alla nascita del diritto alla privacy e alla riservatezza, così come concepito da Warren e Brandeis nel 1890.
Nell’epoca pre-internet, non era molto facile accedere ai dati: si parla, infatti, di “oscurità pratica”, in riferimento a dati fisici non accessibili. Questo concetto si applica bene per la prima volta nel 1970, quando alcuni giornalisti cercavano documenti dell’FBI su un uomo chiamato Charles Medico.
Le prime controversie che richiamano il diritto all’oblio risalgono invece ai primi del Novecento: è evidente che si trattava di tempi notevolmente diversi da quelli odierni, poiché oggi i mezzi di informazione sono molto più pervasivi e onnipresenti nella vita quotidiana.
In passato, dunque, c’era un diritto tutelato, sì, ma nell’ambito dei diritti fondamentali: non vi era un vero e proprio riconoscimento. Oggi, invece, con i social network, la Rete internet e i mezzi di comunicazione, è molto facile che le informazioni personali circolino, anche quando non vogliamo.
La problematica, dunque, riguarda la pubblicazione o la ripubblicazione. Il grande dilemma è comprendere quanto possa rimanere pubblicamente disponibile un’informazione online, a prescindere dalla prima pubblicazione, anche quando perde di interesse. Si sviluppa, così, non l’esigenza di ricordare ma, invece, quella di dimenticare.
Diritto all’oblio e GDPR
Il Regolamento UE 2016/679, noto come GDPR (General Data Protection Regulation) è divenuto applicabile in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea a partire dal 15 maggio del 2018, al fine di proteggere le persone fisiche, con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali.
Questo regolamento, di fatto, ha introdotto concetti importanti, come quello di responsabilizzazione o accountability del titolare, “privacy by design” e importi più elevati per le sanzioni amministrative pecuniarie. Sono sorte regole più rigorose per nomina e selezione del responsabile del trattamento e regole più chiare su informativa e consenso.
Le norme si applicano anche alle imprese situate fuori dall’Unione europea che offrono servizi o prodotti all’interno del mercato Ue. In Italia è entrato in vigore il Decreto Legislativo 101/2018, in data 19 settembre 2018, che ha introdotto disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale italiana (D.Lgs. 196/2003) alle disposizioni del GDPR.
Il diritto all’oblio nel GDPR si ritrova nell’articolo 17: la richiesta di cancellazione rivolta a un titolare che abbia reso pubblici dati comporta anche l’obbligo di trasmetterla a tutti coloro che li utilizzano.
Sul tema l’EDPB ha elaborato le Linee Guida 5/2019 sui criteri per l’esercizio del diritto all’oblio nel caso dei motori di ricerca, ai sensi del GDPR. Le Linee Guida 5/2019 indicano sia i motivi che un interessato può invocare per chiedere la deindicizzazione a un fornitore di motore di ricerca ai sensi dell’articolo 17, par. 1, del GDPR, che le eccezioni al diritto di richiedere la deindicizzazione. In Italia, ad esempio, il Garante per la protezione dei dati personali si è pronunciato diverse volte in merito alla deindicizzazione di informazioni riferite agli interessati presenti sui motori di ricerca online.
Il diritto all’oblio di cui all’art. 17 del GDPR è il diritto alla cancellazione dei dati di una persona fisica, esteso e regolato anche con riferimento alla società digitale. Di fatto, conferma e adegua al mondo digitale i cardini del diritto alla cancellazione dei dati. Il GDPR aggiunge anche il diritto di opposizione dell’interessato (sempre nel caso in cui sussistano determinate condizioni). Si aggiunge poi il diritto alla cancellazione in casi previsti esplicitamente da leggi dei singoli Stati.
Ciò che permette di parlare veramente di diritto all’oblio, riguarda il dovere specifico posto a carico del titolare che riceva una richiesta di cancellazione quando i dati che ne sono oggetto siano stati “resi pubblici” dal titolare stesso.
Diritto all’oblio e reputazione online
Quando si parla di diritto all’oblio, uno dei primi concetti che vengono in mente è quello della reputazione online. Molte persone sentono l’esigenza di voler eliminare le informazioni dalla Rete, poiché magari riguardano fatti lesivi dell’immagine e non più pertinenti rispetto al presente.
Il diritto all’oblio si manifesta dunque in questo caso come il diritto a “essere dimenticati”: non voler più trovare online notizie che riguardino, ad esempio, fatti di cronaca, magari passati, o temi che non sono più attuali. Si concretizza, ad esempio, con le notizie su procedimenti penali e condanne, che continuando a essere diffuse, potrebbero ledere l’immagine di una persona.
Deindicizzazione delle notizie su Google
“Siamo consapevoli del fatto che a volte gli utenti potrebbero voler rimuovere dei contenuti che li riguardano e che trovano sulla Ricerca Google. In alcuni casi, Google potrebbe rimuovere i link alle informazioni della ricerca Google”: Big G presenta così la tematica della deindicizzazione delle notizie.
Ovviamente, i contenuti eventualmente rimossi dalla Ricerca Google potrebbero continuare a essere presenti sul web. Potrebbero, ad esempio, essere sui social media o su altri motori di ricerca. Il consiglio, dunque, è contattare direttamente il proprietario di un sito web: qualora il proprietario abbia rimosso le informazioni, saranno poi eliminate dalla Ricerca Google nell’ambito della normale procedura di aggiornamento. Gli utenti, comunque, possono segnalare i contenuti obsoleti con l’apposito strumento per la rimozione di contenuti obsoleti.
Qualora non si riesca a fare in modo che il proprietario del sito web rimuova i contenuti dal sito, Google potrebbe rimuovere le informazioni personali che costituiscono rischi significativi di furto di identità, frode finanziaria o altri danni specifici.
Come chiedere la rimozione dei risultati di ricerca su Google
Diritto all’oblio e Google, cosa bisogna fare quando si vuole che un risultato non appaia più sulla ricerca? La Rete è una memoria praticamente infinita, che immagazzina le informazioni praticamente “per sempre”. Dal 2014 Google consente agli utenti di segnalare quei link che ritengono dannosi, in modo da poter procedere poi con la loro deindicizzazione.
Per permettere la rimozione dei link considerati dannosi della reputazione online, il grande motore di ricerca ha messo a disposizione sul web un modulo che i cittadini dei Paesi membri della UE possono utilizzare per sottomettere al motore di ricerca le loro richieste di de-indicizzazione. Ovviamente tale funzione vale solo per Google, non per gli altri motori di ricerca.
Nel momento in cui si avanza una richiesta, anche per più siti, questa va giustificata (ad esempio contenuto obsoleto, irrilevante o di dubbia utilità). Vanno anche allegati un documento di identità del soggetto richiedente, i dati anagrafici e l’url del link. Il consiglio è compilare con cura il form, in ogni campo.
L’interessato, nel modulo Google, deve selezionare l’opzione “vorrei rimuovere le mie informazioni personali dai risultati di ricerca di Google“, quindi “voglio presentare una richiesta di rimozione di informazioni ai sensi delle leggi europee per la protezione dei dati”.
Tra le informazioni richieste, ci sono anche la correlazione tra le informazioni personali e la persona che fa la richiesta, o il perché si ritenga che le informazioni debbano essere rimosse. Sarà compito di un’equipe di esperti valutare se accogliere o meno ciò che l’utente chiede.
È importante sottolineare che non è sempre assicurata la rimozione, poiché sarà Google a decidere. Qualora la richiesta venga rigettata, ci si può rivolgere all’autorità nazionale per la protezione dei dati personali o all’autorità giudiziaria. L’articolo 77 del GDPR stabilisce che, in caso di mancata risposta o risposta negativa, si può ricorrere al reclamo al Garante alla Privacy o fare ricorso dinanzi al giudice.
Come precisa il motore di ricerca, comunque “è buona norma contattare anche i proprietari dei siti in questione per fare sì che le informazioni lesive della reputazione vengano fisicamente rimosse, in modo da non correre il rischio che vengano riproposte da altri siti ed eventualmente reindicizzati. A tale scopo si possono utilizzare gli appositi contatti presenti nei siti oppure, se assenti, ricorrere a siti come whoisdomain.com per risalire ai dati dei proprietari”.
Diritto all’oblio e diritto di cronaca
Abbiamo già visto che diritto all’oblio e diritto alla cronaca camminano spesso di pari passo. Ma quando si può parlare di diritto di cronaca? Questo diritto viene riconosciuto in presenza delle seguenti condizioni:
- necessità dell’informazione pubblica
- verità dei fatti riportati
- esposizione dei fatti attinenti allo scopo informativo.
Le informazioni possono essere rimosse in questi casi:
- non sussiste più un interesse sociale alle notizie
- la notizia non è più valida, essendo trascorso del tempo che l’ha resa non più veritiera
- la notizia danneggia la reputazione del soggetto interessato e ciò non è giustificato dalle necessità di informazione.
Le pronunce in Italia sul diritto all’oblio
Nel nostro Paese ci sono già state alcune significative pronunce che chiamano in causa il diritto all’oblio. Per avere un’idea del suo campo di applicazione in Italia, citiamo alcuni dei casi più celebri:
- Cassazione civile 9 aprile 1998, n. 3679 – La Corte evidenzia come sussista un “nuovo profilo del diritto alla riservatezza, recentemente definito anche come diritto all’oblio, inteso come giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”.
- Cassazione civile 5 aprile 2012, n. 5525 – La Corte accoglie la richiesta di un soggetto di aggiornare le notizie che lo riguardavano, relative a vicende di cronaca giudiziaria, pubblicate in una banca dati online: l’aggiornamento dei dati personali è alla base della loro protezione e prevale rispetto alla memorizzazione nelle banche dati;
- Cassazione civile 26 giugno 2013, n. 16111 – Nel caso di un ex terrorista, il diritto all’oblio è ritenuto prevalente rispetto al diritto di cronaca in quanto non vi è pertinenza, e quindi collegamento, tra il ritrovamento di alcune armi e l’antica militanza terroristica dell’interessato;
- Cassazione civile 20.3.2018, n. 6919 – Il cantautore Antonello Venditti lamenta la messa in onda di un servizio in cui si rifiuta di concedere un’intervista, ritenendo denigratorie alcune dichiarazioni dell’autore del servizio, a distanza di cinque anni dal fatto. La Cassazione stabilisce che il video con l’intervista di Venditti è stato illegittimamente trasmesso dalla Rai, unicamente a fini di audience.
- Sezioni Unite del 22 luglio 2019, n. 19681 – Le Sezioni Unite della Cassazione forniscono i criteri su cui deve basarsi il bilanciamento tra l’interesse del singolo ad essere dimenticato e l’interesse pubblico alla notizia.
- Cassazione civile 8 febbraio 2022, n. 3952 – La Cassazione pronuncia sul tema della deindicizzazione, come “rimedio atto ad evitare che il nome della persona sia associato dal motore di ricerca ai fatti di cui internet continua ad avere memoria“. In tal modo, si “asseconda il diritto della persona a non essere trovata facilmente” e si opera un bilanciamento tra il diritto alla privacy e la libertà di stampa.
- Cassazione civile, Ordinanza 8 giugno 2022, n. 18430 – la Corte conferma la condanna dell’hosting provider (Google LLC) all’obbligo di deindicizzazione di determinati url, nonché al risarcimento del danno. Google, infatti, pur essendo stato notiziato della sentenza penale di condanna per diffamazione dell’originario diffusore di una notizia falsa, ha omesso di provvedere alla sua deindicizzazione nonostante l’istanza effettuata dalla vittima della diffamazione.
Diritto all’oblio e quotidiani online, la decisione della Cassazione
Arriviamo così alla recentissima sentenza del 2023, che ci ha offerto lo spunto per trattare l’articolato tema del diritto all’oblio, in tutte le sue sfaccettature. Nel mese di gennaio, la corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un ex assessore locale campano e di un ex professionista, finiti in un’indagine per concussione, con conseguenti vicende. Il tutto iniziato nel 2003.
La corte ha stabilito che, nell’archivio dei quotidiani online, non accessibili dai comuni motori di ricerca, possono legittimamente rimanere gli articoli di cronaca che informavano su arresti e casi giudiziari dalle alterne vicende e datati, ma – su richiesta delle persone coinvolte nelle indagini – deve essere aggiunta una nota informativa che dia conto dell’esito finale e passato in giudicato di tutto il fatto portato all’attenzione della pubblica opinione.
L’assoluzione dei protagonisti della vicenda in primo grado era del 2012, con passaggio in giudicato nel 2012. Quindi, nel 2019, hanno realizzato che i loro nomi “sui più comuni motori di ricerca, erano ancora associati a tali avvenimenti del lontano ottobre 2003 e che vi erano dei siti – tra i quali un’agenzia di stampa e un quotidiano online – dove vi erano numerosi articoli che riportavano la notizia del loro arresto, senza nessuna menzione della loro assoluzione del 2012 e del passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Appello”.
Hanno quindi chiesto agli editori l’immediata cancellazione degli articoli: l’agenzia di stampa ha rimosso tutto, mentre il quotidiano no. In giudizio, nel 2021, il Tribunale di Napoli ha affermato che non si può pretendere la cancellazione dall’archivio del quotidiano degli articoli in questione, e che è sufficiente la “deindicizzazione” (nel frattempo posta in essere dall’editore), cioè una operazione “sostanzialmente differente dalla rimozione o cancellazione di un contenuto” – spiega la Cassazione nel verdetto 2893. Il contenuto viene reso “non direttamente accessibile tramite motori di ricerca esterni all’archivio in cui quel contenuto si trova”.
I protagonisti delle notizie si sono rivolti alla Cassazione, che ha confermato il diritto degli archivi online a conservare tutti gli articoli, aggiungendo però l’obbligo, su richiesta degli interessati, di informare con una “postilla” dell’esito finale del procedimento giudiziario.
“In tema di trattamento dei dati personali e di diritto all’oblio, – afferma la Corte – è lecita la permanenza di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, nell’archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di una inchiesta giudiziaria, poi sfociata nell’assoluzione dell’imputato, purché, a richiesta dell’interessato, l’articolo sia deindicizzato e non sia reperibile attraverso i comuni motori di ricerca, ma solo attraverso l’archivio storico del quotidiano e purché, a richiesta documentata dell’interessato, all’articolo sia apposta una sintetica nota informativa, a margine o in calce, che dia conto dell’esito finale del procedimento giudiziario in forza di provvedimenti passati in giudicato, in tal modo contemperandosi in modo bilanciato il diritto ex art. 21 Costituzione della collettività ad essere informata e a conservare la memoria del fatto storico con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita lesione della propria immagine sociale”.
Ora la parola torna al Tribunale di Napoli, che dovrà applicare il verdetto della Cassazione e pretendere l’apposizione della postilla della quale si parla.