News | News | 04/04/2025

E se Google valesse zero per l’industria dell’informazione?

Per anni l’industria dell’informazione ha operato seguendo la convinzione che Google, con il suo traffico, la sua visibilità e le sue promesse di “partner tecnologico“, fosse un alleato imprescindibile. Un’analisi pubblicata da Press Gazette, però, rilancia una domanda scomoda: e se Google valesse in realtà zero per il giornalismo?

Questo provocatorio interrogativo nasce da una constatazione semplice: in Canada, dopo l’introduzione di una legge che obbliga le piattaforme digitali a pagare gli editori per l’uso dei contenuti giornalistici, Google ha reagito tagliando fuori le notizie locali dai suoi risultati di ricerca. E quali sono stati gli effetti? Stando a uno studio realizzato dall’Università di Toronto, il traffico delle testate è crollato, ma i ricavi non sono calati nella stessa misura.

Quando il traffico non monetizza

Ne è emerso, dunque, uno scenario paradossale: Google genera una enorme mole di click verso gli articoli delle testate, ma questi click non portano ricavi proporzionati. Il traffico da motore di ricerca sembra spesso “vuoto“, con lettori occasionali, poco inclini a restare, a leggere più articoli, o a generare valore pubblicitario significativo. Il valore di ciascun lettore portato da Google, in media, si aggira intorno a pochi centesimi di dollaro. In alcuni casi è addirittura negativo, se si considerano i costi infrastrutturali e le politiche aggressive di indicizzazione.

Un modello da ridefinire?

L’analisi di Press Gazette sottolinea come questa dinamica abbia effetti tossici: molte testate strutturano i loro contenuti e titoli solo per compiacere l’algoritmo di Google, anziché pensare al proprio pubblico. In questo modo, però, l’interesse editoriale viene subordinato a quello algoritmico. A ciò si aggiunge il fatto che l’ingresso nei motori di ricerca dei cosiddetti “AI Overviews“, cioè risposte generate da intelligenza artificiale direttamente nei risultati Google, potrebbe ulteriormente eliminare la necessità per l’utente di cliccare sul sito originario. E questo si traduce in un traffico minore e un valore ancora più basso per l’industria editoriale.

Quale soluzione?

Nel Regno Unito, dove si discute da tempo di introdurre un Media Bill simile a quello canadese, l’industria non ha ancora trovato una direzione comune da seguire. Se, infatti, alcuni editori vedono in Google ancora un alleato, altri lo inquadrano come un predatore che ha colonizzato il valore giornalistico per i propri interessi pubblicitari.

L’analisi lancia una proposta radicale: e se le testate semplicemente bloccassero Google? Una forma di disobbedienza collettiva che potrebbe costringere le Big Tech a riconoscere il valore reale del giornalismo. Ma per farlo, servirebbe un fronte compatto, e soprattutto una nuova strategia per riconquistare il rapporto diretto con i lettori.

Il futuro è nella community, non nell’algoritmo

Il caso canadese – e le riflessioni nate nel mondo anglosassone – possono parlare anche a noi, in Sicilia e nel Sud. L’ossessione per la SEO, le view e i click rischia di farci dimenticare che il giornalismo nasce dal territorio, dai bisogni delle persone, dalle relazioni reali con le comunità locali.

Forse, il vero valore non lo porta Google. Lo porta il lettore che torna ogni giorno, che riconosce un volto, una voce, una firma. Ed è lì che l’informazione deve tornare a investire. Per conoscere tutti i dettagli, puoi leggere l’articolo di approfondimento pubblicato da Press Gazette. Foto di Arkan Perdana su Unsplash.


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